L’ispettrice Gadget
Boom, boomerang e altre boomerate.

Sono un po’ di anni – da quando ho avuto mia figlia… coincidenza?! – che il mio cervello ha fatto uno scarto in avanti rispetto al problema della preservazione del nostro ambiente naturale.
Sono stata una bambina curiosa e amante della natura, ma spesso in modo goffo e poco rispettoso, anche perché vicino a me non avevo figure di riferimento adulte sensibili e attente al tema. Era difficile a quei tempi averle. Se penso alla mia infanzia e a quanto radicalmente sono cambiati i contesti, sembrano trascorsi ben più di 40 anni.

Un tema relativo alla pubblicità che tutt’oggi può incidere parecchio a livello globale è senz’altro quello della gadgettistica.
Sinceramente ho smesso di essere un’arraffa penne fan dei gadget durante l’adolescenza, ma nell’ultimo decennio cerco di lavorare attivamente affinché le aziende, quando devono scegliere se e quali gadget produrre, ragionino in modo sostenibile. Questa parola abusata e svuotata di senso, va infatti riempita di attenzione autentica.
La prima domanda da farsi è: serve davvero produrre questo gadget?
Quanti benefici può portare a fronte della spesa economica per produrlo e, ancora prima, del suo impatto sull’ambiente, sulle persone, sul percepito stesso che ha della mia marca il mio pubblico?
Sono convinta che la miglior scelta sia quasi sempre fare senza. Personalmente, alle fiere apprezzo gli stand semplici, ben allestiti, meglio se in materiali naturali, con una bella comunicazione e che al visitatore offrono al massimo qualcosa di sfizioso da assaggiare, liquido o solido, 100% biodegradabile e processabile dal nostro corpo. Credo non sia più il tempo, da tempo, di proporre scrivanie stracolme di oggetti di scarso, se non nullo, valore, che la gente butta nella borsa per poi, con molta probabilità, buttare nel bidone di casa.
Penne ne abbiamo, borracce pure, cavi elettrici anche, borse riutilizzabili non parliamone!
Ecco un rapido excursus dei gadget che oggi metterei all’indice.
La penna
Too many pens are on the table. Oggetto all’apparenza innocuo, può diventare minaccioso quando lo si vede moltiplicato in miliardi di pezzi. Bancali di plastica di cui possiamo serenamente fare a meno. La penna la consiglio solo come regalo di qualità a un pubblico ben selezionato. Altrimenti, se proprio non potete fare senza un pezzo di cancelleria con il vostro marchio stampato sopra, optate per una matita ecologica, in materiali certificati naturali non tossici. Un esempio ormai famoso sono le matite Sprout che potete conoscere qui.
La borraccia
Della serie: boom positivi che si trasformano in boomerang negativi. Tutto ebbe inizio con una buona idea: eliminare le bottigliette di plastica e incentivare il consumo di acqua domestica. Bene. Finché alle aziende non è venuto in mente di trasformare una buona idea in una pessima azione.
Se state pensando di produrre anche voi la vostra borraccia brandizzata, vi prego, risparmiate e risparmiatecela. Può essere che qualche essere umano ne sia ancora sprovvisto, ma gliela regalo io, tranquilli, che ne ho svariate in dispensa. Le prime le ho acquistate direttamente – in alluminio riciclato e riciclabile o in vetro – per i buoni propositi di cui sopra, le altre – di bassa lega e probabilmente tossiche – le ho ricevute negli ultimi anni da almeno 15 aziende diverse. Ogni volta che posso declino l’offerta, ma spuntano come funghi. Credo che un’azienda attenta al proprio impatto, come tutte dichiarano di essere oggi, debba rendersi conto che i contesti cambiano e ragionare se l’opportunità di una scelta sia ancora attuale o ormai superata, se non addirittura controproducente.
Le borse riutilizzabili
Per la stessa serie, boom-boomerang e anche un po’ boomer. Anche qui tutto ebbe inizio da buone intenzioni e anche qui, grazie a migliaia di aziende, siamo arrivati ad avere un problema peggiore di quello iniziale. Tra una borraccia e l’altra, io ho stipato in ogni angolo della casa non so più quante borse e borsette, sacchi e sacchetti di cotone, plastica, tnt, rete, carta e cartone… propinati ogni volta come soluzione ecologica, perché si possono riutilizzare. Ora, a meno che non iniziamo a vivere tutti 3000 anni, non riusciremo mai neanche lontanamente a bilanciare con il loro riutilizzo l’energia bruciata per realizzarle e il loro impatto in termini di biodegradabilità. Le meno impattanti restano ancora le vituperate borse leggere in plastica, seguono quelle di carta, quelle di plastica spessa e, fanalino di coda, quelle in tessuto. Quindi, anche in questo caso, se state pensando di produrre una borsetta ecologica come gadget aziendale, tornate in voi e ripensateci. Qualcuno obietterà che ci sono situazioni in cui è “indispensabile”, ad esempio in fiera. Ma io credo fossero indispensabili finché si pensava adeguato in questi contesti consegnare al visitatore un malloppo di brochure e un pugno di gadget; se mi avete seguita fin qui, forse converremo tutti che si tratta di situazioni anacronistiche e che è più bello lasciare ricordi nella memoria piuttosto che nel bidone. Lo stesso materiale editoriale pubblicitario è un tema e ne parlerò in chiusura. Nelle situazioni in cui il sacchetto è realmente indispensabile, opterei per la carta leggera – inquinante ma almeno bella e più efficace a livello comunicativo – oppure per sacchetti biodegradabili quasi impalpabili, brutti ma buoni, a seconda dell’identità e del posizionamento dell’azienda in questione.
Oggetti elettronici
Allora, qui il tema si complica. Esistono talmente tanti gadget che bocciarli tutti a prescindere forse sarebbe un po’ antipatico da parte mia. D’altro canto, ho in un cassetto almeno 20 paia di cuffie, in un altro 4 set di spine multi-ingresso e in un altro ancora una trentina di chiavette usb. E ho visto situazioni anche peggiori in case di altri, a partire dai miei genitori. Un buon esercizio è sempre quello di allargare lo sguardo e guardare un oggetto non per il suo micragnoso beneficio individuale, ma piuttosto per il suo, molto più rilevante, maleficio collettivo. Credo che nessuno oggi abbia bisogno di ulteriori oggetti elettronici usa e getta da pochi euro. Se vogliamo essere aziende presenti al presente, investiamo i nostri soldi per incidere positivamente non solo sull’ambiente ma anche sulle abitudini della società in cui viviamo. E l’accumulo insensato non è una buona abitudine.



Gadget che cambiano direzione
Per incidere positivamente sulle abitudini sociali, si possono scegliere gadget diversi da quelli ormai inflazionati, che portino con sé un messaggio o una proposta di cambiamento positivo. Sempre meglio, in generale, optare per oggetti che nella vita quotidiana cambiamo spesso e che quindi impatterebbero a prescindere. Un esempio: lo spazzolino da denti. In molti sono passati all’elettrico, ma resta una delle voci più inquinanti tra i prodotti di cura della persona. Proporre lo spazzolino in bambù si sposa bene, ad esempio, con aziende che si occupano di pulizia, benessere, salute, prevenzione, viaggi e turismo. Ma direi un po’ con tutte, dato che si parla di prendersi cura del sorriso: anzi, tanto più il messaggio è meno scontato, più funziona. Non era forse Audrey Hepburn a dire che l’accessorio più bello che una donna possa indossare è il suo sorriso? Ecco che sarebbe piacevole ricevere uno spazzolino ecologico in omaggio da qualsiasi brand di moda. Ne usiamo tanti – a casa, in vacanza, a scuola, al lavoro – li sostituiamo spesso; almeno smaltiremo materiali meno inquinanti.
Per la casa, sono attuali e non ancora abusate, le spugne e spazzole naturali, oppure le pellicole riutilizzabili in tessuto e cera d’api per conservare gli alimenti (qui la proposta di Sadesign), tutte soluzioni che possono spingere a scoprire e scegliere abitudini quotidiane più green.
Un’altra idea che proporrei volentieri a brand contemporanei, giovani, che hanno l’ambizione di tirarsi fuori dal coro, è lo slip mestruale: sarebbe una valida alternativa alla classica t-shirt – che di pigiami estivi ne abbiamo già abbastanza –, si farebbe di certo notare e agevolerebbe la prova di una soluzione molto più sostenibile ed economica dei classici tamponi usa e getta, ancora però poco diffusa. Certo, serve un po’ di apertura mentale ma credo che i tempi stiano accelerando e che scegliere di essere un’azienda rivolta al futuro passi anche da scelte un po’ più coraggiose in comunicazione.
Ma attenzione: qualsiasi nuovo gadget va bene solo finché resta poco inflazionato. Quando scatta il meccanismo boom-boomerang, va abbandonato subito perché diventa di impatto insignificante per il vostro brand e significativo per l’ambiente. Due segni meno, quindi.
Vi avviso quando arrivo a 10 slip mestruali brandizzati nel comò.
Materiale cartaceo pubblicitario
Era una sorta di gadget anche questo. Se penso ad alcune fiere di un tempo, non bastava la borsetta ecologica per portare via tutto, serviva il trolley. Per fortuna, complice la crisi economica, le aziende oggi sono molto più oculate quando si tratta di decidere cosa e quanto stampare. Un altro trend positivo è il preferire carte leggere, riciclate o riciclabili, certificate per origine e produzione, alle orribili carte plastificate di una volta. Il mio consiglio è di produrre poche cose molto curate e considerare, appunto, che anche il supporto sui cui scegliamo di stampare comunica. Spendiamo di più per una buona carta e risparmiamo sul numero di copie, cerchiamo di essere sintetici e rilevanti nel messaggio e rimandiamo per tutti gli approfondimenti a luoghi digitali ben fatti. Tanto, nel migliore dei casi il nostro oggetto finirà a prendere polvere in una libreria, molto più spesso dritto in un bidone.
Ma possiamo sintetizzare tutto questo pippone in due parole? Sì: l’impatto più positivo che un’azienda può lasciare oggi è immateriale.